La sindrome di Meniere è una patologia che colpisce l’orecchio. E, in genere, interessa un solo orecchio. Deve il nome al medico Prosper Meniere che, nel 1861, per primo descrisse questa malattia. E’ dovuta ad un aumento della pressione dei fluidi contenuti nel labirinto auricolare dell’orecchio interno, che provoca attacchi frequenti di sordità, acufeni (fischio nell’orecchio), vertigini, nausea, vomito, sensazione di pressione aumentata all’interno dell’orecchio.
Talvolta, questa patologia può essere accompagnata pure da sudore e da nistagmo (movimenti ritmici orizzontali a scatti incontrollabili degli occhi). Si tratta di sintomi che possono durare da 20 minuti a 24 ore, ma che possono peggiorare muovendosi. E’ quindi altamente consigliato, durante le crisi, il riposo assoluto in un luogo buio e silenzioso. Un po’ come nel caso del mal di testa.
Solitamente, la sindrome di Meniere colpisce gli adulti con età superiore ai 45 anni. Ancora oggi, a distanza di più di 150 anni dalla scoperta, è ignota la causa scatenante della malattia. Si sa solo che c’è un aumento della pressione del canale endolinfatico, che appartiene al sistema vestibolare dell’orecchio interno, dovuto a un trauma al capo o a un’infezione alle vie respiratorie superiore. O prendendo per lungo tempo l’aspirina.
I sintomi della sindrome di Meniere
Come abbiamo visto, questa malattia è accompagnata da diversi sintomi che non sono necessariamente a carico dell’orecchio. I principali sono le vertigini, gli acufeni (anche sotto forma di ronzii, non solo di fischio), la perdita dell’udito, una sensazione di pienezza o di congestione dell’orecchio.
Ma gli attacchi di vertigine quando capitano? Improvvisamente oppure dopo un breve periodo di acufene o udito attutito. Alcuni soggetti sviluppano questa sindrome soltanto con attacchi di vertigine, intervallati poi da lunghi periodi in cui non avvertono nulla che non va, pensando quindi di non avere alcuna patologia, fino alla crisi successiva. In altre persone, invece, gli attacchi si ripetono nell’arco di diversi giorni ed è dunque più facile individuare la sindrome.
Le vertigini sono di sicuro il sintomo più difficile da gestire per chi ne soffre. Siccome appaiono improvvisamente e sono particolarmente intense, possono portare a perdere l’equilibrio e anche a far cadere il soggetto.
Molti pazienti affetti dalla sindrome di Meniere hanno evidenziato, nei colloqui con il medico, come in certi giorni ci sentano meglio e in altri peggio. Fino alla sordità assoluta in alcuni momenti della malattia. Raramente, si verificano anche dolori addominali, mal di testa e diarrea.
Ipotesi sulle cause e diagnosi
Le cause della sindrome di Meniere, come abbiamo anticipato, non siano chiare. Ci sono diverse teorie, però, in merito. Alcuni ricercatori ritengono che la sindrome sia il risultato di una vasocostrizione simile a quella che origina l’emicrania. Altri ipotizzano sia una conseguenza di un’infezione virale, di un’allergia o di reazioni autoimmuni. Potrebbe anche dipendere da mutazioni genetiche che causano anomalie nel volume o nella regolazione dell’endolinfa.
Insorge solitamente tra i 40 e i 60 anni, con particolare predisposizione per i soggetti che hanno superato i 45 anni di età. Ci sono persone che paiono essere più vulnerabili alla sindrome di Meniere: sono quelle con disturbi autoimmuni, caratterizzati da un sistema immunitario che per errore attacca i propri tessuti e organi; chi ha familiarità con il disturbo; chi ha squilibri chimici nel fluido presente a livello dell’orecchio interno, a causa di un’alterazione dell’equilibrio di specifici elettroliti (in particolare sodio e potassio); chi ha disturbi di circolazione; chi ha infezioni virali.
Siccome siamo solo alle teorie, molti studiosi si sono sbizzarriti ad associare la sindrome di Meniere anche ad altre situazioni, in particolare allo stile di vita che si fa. C’è chi ha messo in relazione la malattia con il fumo, chi con l’assunzione di alcolici, chi con il consumo eccessivo di caffeina. Tutti potrebbero essere elementi scatenanti di una crisi, ma siamo ancora ben lontani dall’individuazione di un rapporto causa – effetto.
Diagnosi della sindrome di Meniere
Un colloquio conoscitivo della storia medica del paziente e un esame fisico da parte di un otorinolaringoiatra. Si passa da queste due visite per poter diagnosticare la sindrome di Meniere. Non esistono esami specifici né sintomi univoci.
La diagnosi è per forza di cose basata essenzialmente sull’anamnesi e sulla presenza di 2 o più episodi di vertigine della durata di almeno 20 minuti ciascuno, acufeni e perdita temporanea dell’udito, sensazione di congestione dell’orecchio. Alcuni medici eseguono un esame dell’udito. Per escludere altre malattie, possono venire richieste risonanza magnetica e tac.
Cura della sindrome di Meniere
Non esiste una cura specifica per la sindrome di Meniere. Ci sono però approcci che possono essere utilizzati per gestire i sintomi. Si può fare ricorso ai farmaci, in particolare per le vertigini: alcune benzadiazepine come diazepam e lorazepam; la betaistina e alcuni antistaminici di vecchia generazione che possono alleviare e ridurre la durata delle crisi di vertigini. Per la nausea, è indicata la metaclopramide. Possono venire prescritti anche cortisonici.
Si passa anche attraverso la dieta alimentare. In alcuni soggetti, si può provare con una dieta povera di sale e con l’assunzione di diuretici che tengono sotto controllo e riducono la ritenzione idrica dell’organismo. Se caffeina, cioccolato e alcolici portano a un aumento delle crisi, si può provare a ridurne il consumo o a eliminarlo. Anche l’astensione dal fumo può aiutare.
Il ricorso alla psicologo con una terapia cognitivo – comportamentale. Il professionista aiuterà a concentrarsi su interpretazioni e reazioni alle esperienze di vita. In alcune persone, infatti, questo aiuta a tollerare meglio la natura improvvisa degli attacchi e riduce l’ansia per possibili nuovi episodi.
L’iniezione di gentamicina nell’orecchio aiuta a controllare le vertigini, ma aumenta sensibilmente il rischio di perdere l’udito. Alcuni medici preferiscono iniettare un corticosteroide, che aiuta comunque a ridurre le vertigini senza intaccare l’udito. La chirurgia può intervenire se gli altri trattamenti non sono stati efficaci. Si interviene sul sacco endolinfatico per decomprimerlo. Altro possibile intervento è il taglio del nervo vestibolare.
Non manca la medicina alternativa: agopuntura, agopressione, tai chi, integratori naturali come gingko, bilboa, niacina o zenzero.