Gli rompono la testa ma continua a combattere: le immagini sono terrificanti (1 / 2)

Gli rompono la testa ma continua a combattere: le immagini sono terrificanti

O si amano o si odiano: gli sport di combattimento sono fatti così, non hanno mezze misure. Difficilmente si riuscirà a trovare qualcuno che guardi un incontro di boxe per noia o una sfida titolata di karate o di judo perché non trova di meglio da fare (sebbene di recente la crescente popolarità guadagnata dalle arti marziali miste stia avvicinando molti “profani” all’universo degli sport di combattimento di ogni genere). Ciò è dovuto al fatto che discipline di questo genere si portano spesso addosso l’etichetta di “violente”.

A dispetto del fatto che siano effettivamente riconosciuti come sportivi infatti, gli atleti di discipline di combattimento raramente vengono presi come modelli positivi (esclusi i boxeur della Nazionale olimpica, a cavallo dell’abusata dietrologia della boxe come strumento di riscatto per evadere da vite di stenti e dalle lusinghe della criminalità, soprattutto in ambito campano). Molto più di frequente si sente invece deplorare attività di questo genere poiché spingerebbero i ragazzi alla violenza, benché controllata ed esclusivamente circoscritta al ring.

Eppure gli sport di combattimento hanno una lunga tradizione all’interno delle discipline sportive, la lotta libera viene infatti largamente praticata sin dai tempi antichi: nell’antica Grecia infatti essa prendeva il nome di ortophale, benché solamente nel XX secolo siano state codificate le attuali regole che hanno permesso alla lotta libera ed alla lotta greco-romana di diventare sport a tutti gli effetti riconosciuti secondo i moderni canoni di riferimento. Fatto sta che queste attività hanno da sempre mantenuto un posto importante nei cuori di molti appassionati.